mercoledì 23 maggio 2012

Capaci

Vent'anni fa, quasi diciottenne, tornando a casa dal classico sabato pomeriggio in parrocchia (era già un classico!), con chissà quale progetto per la sera, accendo la tv  e sul televideo leggo notizie ogni minuto sempre più tragiche sul giudice Falcone, sua moglie e la sua scorta.

Abitavo a Vittoria, la città dei Gallo (io so cosa significa andare alle scuole elementari e pensare, guardando i manifesti funebri sempre con lo stesso cognome, quanto sia poverina quella famiglia a cui morivamo tutti i parenti... e scoprire qualche anno dopo che si era consumata una strage di mafiosi nella tua città), dei Dominante, dei Carbonaro, anzi no... la mia città, dei miei amici, di quasi tutte le ragazze di cui mi sono innamorato, dei preti di periferia che hanno dissodato terreni e persone per creare comunità (insieme di persone che cercano di realizzare il bene di tutti e di ciascuno), dei miei professori che hanno segnato i miei orientamenti culturali con quello che hanno saputo farmi accettare o rifiutare dei loro, delle mie sorelle, di mia mamma e, d'adozione, di mio papà.

Abitavo a Gaspanella, contrada che non è più il quartiere Talafuni ed è separata da contrada Fanello e dalle sue case popolari da una strada, ma ho lasciato che mi contaminassero l'uno e l'altro, visto che, in fondo in fondo, sangiuvannaro (che a Vittoria non indica una fazione religiosa!) di nascita, la parte migliore (i miei fantastici compagni delle elementari) del quartiere poco "in" della città mi ha vaccinato dallo snobismo borghese e dall'arroganza mafiosa. Sarà per questo che avevo voglia di vivere il mio quartiere, tutto, da Gaspanella a Cius'o'nfiernu, da educatore A.C.R. che tesse relazioni con le famiglie dei ragazzi del gruppo e col territorio, per quanto fastidio la cosa potesse dare alla banda (che a Vittoria, in questo caso, non è quella che suona per la festa del patrono) di miei coetanei della zona?

Vent'anni fa credevo di aver capito che gente come Falcone è semplicemente gente che ci crede e si impegna nonostante tutto e che io dovevo continuare gli impegni presi (studio e servizio come educatore A.C.R.), sviluppandoli man mano che crescevo.

Dopo vent'anni, mi permetto di ripeterlo a me e a chi ha vent'anni meno: far camminare le idee di Falcone sulle proprie gambe, significa innanzitutto fare il proprio dovere di figli, studenti, cittadini, a partire dalle fastidiosissime cose di ogni giorno (gli orari, il casco, la raccolta differenziata, innamorarsi di una o due materie e da queste essere trascinato a studiare le altre, un piccolo impegno che ci apre agli altri) che sono le prime a creare legami di comunità, segni di civiltà e società che amano la legalità. E tutto questo è l'humus antimafia per eccellenza.

1 commento:

Giorgio Occhipinti ha detto...

Io avevo tredici anni ... è stata un'esplosione anche dentro di me... ricordo che nei giorni dopo misi il lenzuolo bianco nel balcone come a Palermo facevano i cittadini disgustati dalla mattanza di uomini "grandi" quali erano Giovanni Falcone e poi 57 giorni dopo Paolo Borsellino e tutti gli uomini e donne morti insieme a loro credendo agli ideali di giustizia e di pace.