venerdì 7 giugno 2019

Sproloqui alla fine di una giornata uguale a due parentesi che mi hanno protetto da mille tensioni

Dopo aver letto l'ennesima pagina su come il mondo cambia e il fatto che noi cattolici non ce ne rendiamo conto, si è acceso nella mia testa un neurone con l'immagine di una mia pagina letta qualche minuto prima, questa su San Francesco.
Ora mi dico (a me stesso intanto... se leggi perché ho condiviso su fb o twitter o whatsapp, sto chiedendo pure a te): ma Francesco d'Assisi (uomo vissuto al tempo storico del fermento dei comuni, uomo vissuto durante il trapasso culturale dal platonismo all'aristotelismo, uomo che ha espresso la sua spiritualità nella forma nuova dell'ordine religioso mendicante), si è mai posto il problema come lo poniamo noi oggi, ovvero di un cambiamento culturale, sociale che mette in discussione una visione dell'uomo e del mondo fondata su Cristo?
O per Francesco (amato da tutti, cristiani e no) la domanda era semplicemente: come io posso conformarmi a Cristo, in questo mondo senza essere di questo mondo?
Da commerciante a povero, da uomo d'arme alla ricerca della gloria personale a cantore della gloria di Dio che splende nella creazione (tutta, fino alla morte e alla dimensione spirituale dell'inferno e del Paradiso, che significa lodare Dio per la creazione dell'uomo come creatura libera di scegliere il bene e rifiutare il male se segue la volontà di Dio... rileggiamoci la chiusura del Cantico), da uomo attento ai propri piaceri (feste e ribrezzo dei lebbrosi) a uomo dedito a piacere a Cristo Crocifisso presente nei crocifissi che incontra.
Dov'è, in tutto questo, il pensare che il mondo cambia e tale cambiamento è il paradigma culturale che ci spiega il Vangelo? O c'è qualcosa che non capisco bene?
Una vocina lontana di quando ero studente mi dice che non si sfugge alla propria dimensione culturale... ma appunto questo mi sembra il nostro difetto moderno, impedire al Vangelo di essere quella critica che accoglie ogni cultura e la purifica e la eleva (e questo è il Concilio Vaticano II, sia chiaro), in quanto  ci siamo chiusi in un vicolo cieco (cartesiano, quindi idealista, e nietzschiano, quindi volontarista): la chiave di lettura per intendere l'uomo è l'autodeterminazione assoluta, senza la quale non si può accogliere Vangelo e Salvezza, Vangelo e Salvezza che, però, se dipendono dall'autodeterminazione assoluta dell'uomo, non sono più dono di Dio, ma proiezioni umane.
Ma Gesù non è venuto ad incontrare forme vuote ideali (uomini intesi come libertà assoluta) che si storicizzano ogni volta che un bisogno si manifesta come desiderio che vuole essere realizzato.
Zaccheo, la Maddalena, i pescatori di Galilea sono già storia vissuta, cultura, ferite, bisogni frustrati, desideri realizzati, volontà deboli o forti, con un loro spazio d'interiorità nel quale Dio ha parlato ed è stato in qualche modo respinto o accolto...
Voglio dire, se io fossi autodeterminazione assoluta determinerei anche bisogni e desideri, non mi sentirei determinato da essi per pensare poi di essere libero perché posso soddisfarli come voglio (credendo ulteriormente di essere libero in tale scelta, quando anch'essa è determinata da uno spettro di dati culturali ed esistenziali di cui non so nulla perché mi circondano come l'aria e li do per scontati).
Quindi, è in questo guazzabuglio non assoluto che sono io, in cui si concentrano una serie di dati culturali e sociali ed esistenziali, che arriva l'annuncio del Regno di Dio ormai vicino. Arriva per far emergere che io sono più del cammino che la storia del mondo tutto ha fatto per giungere a me: sono parte di quel Regno che si sta per compiere, quindi sono non solo passato che si invera nel presente, sono anche futuro, in quanto il Regno ormai vicino compie il tempo e la mia conversione realizza quello che non sarei se non accettassi il compimento del tempo nel Regno.
In altre parole, posso criticare (passare letteralmente al setaccio) ciò che mi ha portato ad essere ciò che sono, per far emergere quello che ancora non sono, o non è emerso.
Allora, se l'età moderna da Cartesio in poi ci suggerisce o ci dice chiaramente che nei cambiamenti (nel progresso, in ciò che modifica ciò che è stato trasmesso) c'è verità, Gesù ci dice invece che nel compimento c'è verità. Non il cambiamento in sé, ma ciò che mi compie con tutto il processo che mi orienta al compimento è verità. Non l'autodeterminazione assoluta (o relativa, o qualunque idea di libertà individuale che ha solo nel soggetto il suo fondamento) mi definisce, ma la domanda sul sorgere della mia libertà, sulle sue condizioni, sulle sue possibilità, perché possa davvero convertirmi per lasciar compiere il tempo di me stesso ed essere ciò che solo nel Regno posso essere, accolto l'annuncio di Gesù.
Torno a san Francesco: nel suo tempo, è diventato universale perché si è conformato a Cristo.
Non dovrebbe essere difficile, ci possiamo riprovare. Ripartire da lì, da quell'annuncio valido sempre, sia per ebrei del lago di Tiberiade degli anni 30 del primo secolo d. C., sia per i pagani di ogni secolo, sia per i cristiani di ogni era: Il Regno di Dio è vicino e il tempo è compiuto, convertitevi e credete al Vangelo.

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