…stasera domandona sul perché si soffre.
Non sono molto in vena né di risposte, né di lunghe discussioni.
Semplicemente, mi avete fatto venire in mente che porsi questa domanda significa, senza saperlo, chiedere a se stessi “chi sono io”?
Perché io so di soffrire, cioè do un valore particolare al dolore, senza ridurlo solo a sensazione fisica? Cosa c’è in me che distingue, fino a sentire rabbia e sconforto, l’ingiustizia dalla giustizia?
Chi sono io che rabbrividisco se penso ai miei cari in balia di malattie, come se non bastasse sapere che l’organismo umano a contatto con certi virus, batteri, materiali organici o meno reagisce deperendo e morendo?
È come se io fossi fatto di un grido, grido di vita, grido di eternità, grido di legami che desidero per sempre.
E se questo grido è vano, inutile, folle, assurdo, senza significato perché tutto muore e tutto, a volte per caso, a volte per le scelte degli uomini, sprofonda nell’ingiustizia, se questo grido resta strozzato dall’immensità di un universo sordo, allora non ha senso parlare di sofferenza. La materia ha le sue regole. Il resto (l’amore, la ricerca del bene, il voler un mondo migliore e relazioni sane, il desiderio di proteggere chi ami) è illusione.
Qualcuno può ascoltare il grido che sono?
Accidenti, ancora una domanda…